Val Maira, sentieri occitani

Il passaggio in automobile, lungo la spettacolare statale che s’incunea tra le rocce della stretta valle, non può dare l’idea di che cosa si trovi risalendo i valloni laterali fin sui versanti assolati e sulle cime. Quei borghi, da cui gli abitanti se ne sono andati in passato perché erano troppo isolati, oggi devono molto del loro fascino alla pace e alla tranquillità che vi si godono mentre si ammirano i panorami che solo la montagna può regalare.

Di tutte le valli piemontesi la valle Maira è forse una delle più belle. Certamente quella che si è conservata meglio, che meglio esprime l’architettura montana in pietra e i segni della religiosità popolare, della cultura contadina. Questi elementi ne fanno un tesoro che a poco a poco viene scoperto dai veri amanti della quiete e della natura, ma che deve la sua unicità agli anni più bui della sua storia millenaria.

Negli anni a cavallo tra 1800 e 1900, e poi nei due dopoguerra, in pochi si curavano dell’aspetto estetico di borgate e sentieri. Gli abitanti di questa valle e di molte altre vedevano nella pianura industriale l’irresistibile richiamo del benessere, e abbandonavano le loro case, i campi, le bestie, le veglie notturne, in cambio dei turni in fabbrica o di occupazioni più remunerative e meno faticose.

44° 30′ 24.687″ N – 7° 7′ 32.981″ E

La fortuna della valle Maira è che non c’è niente. A dirlo è chi 25 anni fa credeva che un turismo lento fosse possibile; pochi visionari a cui il tempo ha dato ragione. Non ci sono stazioni sciistiche, impianti industriali, non c’è un valico. Non c’è, insomma, ciò che nella seconda metà del XX secolo ha garantito la sopravvivenza economica di altre valli vicine. Gli usci delle case sono stati chiusi prima che l’alluminio sostituisse il legno, e pochi hanno creduto che un condominio in cemento fosse un buon investimento. Le stesse ragioni che 100 anni fa ne facevano un luogo inospitale oggi rendono la valle Maira una località di grande interesse e straordinaria bellezza.

Ma messo da parte questo capitolo oscuro, sarebbe sbagliato giudicare questa valle dal periodo che si è lasciata alle spalle lasciandosi influenzare da chi vi è nato. La modestia e il pessimismo sabaudi sono proverbiali e fanno spesso sorridere i forestieri. Lo sa bene Maria Schneider, tedesca di Colonia che da 30 anni vive a Prazzo, proprio in valle Maira, dove ha insediato prima una scuola di italiano per stranieri e poi un posto tappa lungo i Percorsi Occitani. Quando chiedo a un austriaco se ha molte vacche mi risponde: “sì, una ventina”. Un allevatore della valle Maira invece mi dice: “non molte, una settantina”. Ma la verità storica non può sbagliare.

La pagina più singolare e gloriosa della storia valligiana fu vissuta nel medioevo, quando il territorio era dominato dal marchese di Saluzzo e al di là delle vette i francesi bramavano il suo controllo. Poco si conosce del processo che portò a questo risultato, ma nel XIII secolo dodici Comuni della valle godevano di ampie autonomie dal dominio del marchese. I loro abitanti erano esentati dai pedaggi e avevano diritto a pascolare un tutto lo stato marchionale. Questi diritti venivano raccolti negli Statuti, un documento firmato dai dodici Comuni per sancire i diritti acquisiti.

Per oltre tre secoli questa comunità, che per un periodo si estese a tutta la valle, poté essere definita una repubblichetta. Dovettero essere secoli molto fiorenti per l’economia e la cultura.
A porvi fine furono i Savoia, che alla fine del XVI secolo decisero in modo irreversibile di riprendere il pieno controllo della valle. A memoria di quei secoli, ma forse è una caratteristica che si deve alla montagna in sé, resta la fierezza e la libertà rivendicata dalla gente di queste terre.

Se vuoi provare un’esperienza autentica in Val Maira, prova il viaggio a piedi: Val Maira: la montagna occitana.

Attraversando i piccoli centri abitati che punteggiano tutta la valle è impossibile non imbattersi nelle storie dell’emigrazione stagionale. Una tradizione durata per secoli che per lungo tempo permise a una parte degli abitanti di condurre una vita meno povera rispetto ad altri. Come in molti altri luoghi di montagna, anche nella valle del Maira gli abitanti abbandonavano le proprie abitazioni durante alcuni mesi dell’anno per praticare un altro mestiere altrove.


Banalmente all’inizio dell’estate si poteva scendere in pianura dove i lavori agricoli iniziavano con anticipo. Ciò che rende interessante questa attività è la varietà di mestieri altamente specializzati che venivano praticati anche a centinaia di chilometri di distanza.

La più peculiare è certamente quella dei caviè, i raccoglitori di capelli di Elva, i quali avevano pochi rivali in tutta Italia e vendevano il frutto del proprio lavoro al parlamento inglese e all’alta società di Sidney, Parigi e Londra. Si trattava di mestieri assai qualificati, che richiedevano anni di apprendistato per essere padroneggiati.

Da Dronero e le sue borgate provenivano gli acciugai, gli anchoiers, venditori di pesce conservato. La leggenda afferma che l’iniziatore di questa tradizione fu un bottaio di mestiere, che, di ritorno dalla stagione in Francia, decise di riempire una botte di acciughe per non lasciarla vuota, e che ben prima di arrivare in valle si trovò con la botte vuota e le tasche piene.
Queste immagini del passato oggi colorano le pietre delle case e le animano, rendendo vivo ciò che rischierebbe di restare immobile nel suo valore estetico.

I Percorsi Occitani accarezzano la valle in un trekking lungo 177 chilometri. Di alpinistico non ha nulla, ma conserva la possibilità di deviare dal sentiero per raggiungere le vette che sovrastano i sentieri.
Il camminare della valle Maira è un viaggiare tra le sue borgate di pietra e scoprire un passo alla volta le tracce del passato e della storia, in una sublime cornice naturale.

Ogni borgata e ogni gruppo di case ha i suoi tesori da svelare a chi si ferma a cercarli. Sono le meridiane, gli orologi solari, le colonne rotonde, le grandi case villaggio, le finestre bifore.
L’importanza che un tempo rivestiva la religiosità popolare è ben visibile nei piloni votivi o negli affreschi che decorano i muri di molte abitazioni. Chiunque capiti a Elva, a Marmora, a Stroppo, non può fare a meno di chiedersi come le chiese di piccoli villaggi di alta montagna possiedano decorazioni e cicli pittorici di una tale bellezza.

Penna di Mattia Bianco

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